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Recensione: The Book Of Souls PDF Stampa E-mail
Venerdì 04 Settembre 2015 06:20 MaZZo   

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( 11 Voti )

The Book Of Souls è il sedicesimo album degli Iron Maiden in studio. Registrato nel 2014 a Parigi, il disco è rimasto nel cassetto per qualche mese in attesa che Bruce Dickinson recuperasse dopo le cure che gli hanno consentito di sconfiggere il cancro. E’ il primo doppio album in studio degli Iron Maiden, in ragione della durata complessiva del disco che supera i novanta minuti.

La recensione che leggete di seguito è volutamente scomposta ed approssimativa. E’ scomposta perché il disco avrà pervaso i padiglioni auricolari della gran parte di voi nelle ultime ore. E’ approssimativa perché effettuata sulla base di due ascolti piuttosto fugaci. Non ci rivolgiamo ai molti che hanno già una, due, o tre versioni del disco sull’altarino Maiden, ma ai pochi che non avessero ancora compiuto la spesa distratti dalla crisi cinese, dalla estenuante ricerca di una crema per il viso o dagli impegni calcistici della propria squadra del cuore.

La premessa che ci viene spontanea è che, come abbiamo sempre scritto, gli Iron Maiden ci piacciono ogni qual volta si cimentino in esperimenti. Esperimenti che in questo album non mancano.

Sarà il caso di dire che, per coloro che vedono sempre dietro l’angolo un ritorno dei Maiden alle sonorità dei primi anni Ottanta, la band ha deciso di continuare sulle sonorità e sulle architetture messe a punto negli ultimi cinque lustri.

Il brano che apre l’album, “If Eternity Should Fail”, è un pezzo scritto da Bruce Dickinson, con una durata che supera gli 8 minuti. L’inizio ci lascia sospesi tra le atmosfere care a Dario Argento e quelle evocate spesso da Sergio Leone. Il brano si sviluppa in linea con le sonorità che avevamo apprezzato in Dance Of Death, A Matter Of Life and Death e The Final Frontier. Anche la melodia vocale di Bruce ci appare nel solco di quanto abbiamo ascoltato negli anni recenti.

Segue il singolo, o almeno quello che qualche anno fa avremmo indicato come tale, “Speed of Light”, un brano veloce e gradevole, che tutti conosciamo già.

“The Great Unknown”, firmato da Adrian Smith e Steve Harris, inizia con un lungo arpeggio e si sviluppa evidenziando, se ci fosse bisogno, le doti vocali di Bruce. Il brano ce lo immaginiamo bene suonato nelle arene sempre affollate delle nostre estati Maideniane, perché abbondano gli assoli ed i duelli tra i nostri ‘amigos’.

“The Red and the Black” dura la bellezza di 13 minuti e 33 secondi. Pennato dal signor Steve Harris, è ovviamente tratto da uno dei suo romanzi favoriti, Il Rosso E Il Nero dello scrittore francese Stendhal. I riff e i cambi di ritmo si sprecano. C’è anche il coro che canteremo quando il pezzo verrà suonato dal vivo! Vi abbiamo sentito richiami datati ad alcune cose di Seventh Son Of A Seventh Son, ma anche qualcosa di più recente come Dance Of Death. “OO-OOOOHH-OO-OOOOHH…”

Per “When the River Runs Deep” ritorna la coppia Smith-Harris. E’ un pezzo che scorre veloce e ritmato che si poggia assai sulla vocalità di Bruce.

“The Book of Souls”, è composto da Janick Gers e Steve Harris. Siamo nuovamente di fronte ad un brano la cui durata supera i 10 minuti. E’ il grande epic che negli album dei Maiden non manca mai, in questo caso anche in buona compagnia di altri. I riff anche qui non mancano e ci sarà sicuramente del lavoro quando verrà eseguito sul palco.

Il secondo cd si apre con “Death or Glory”. E’ il brano che infiammerà i fan nei concerti della prossima estate secondo me. Solleverà i cuori di coloro che hanno invocato a gran voce un seguito per Montsegur.

“Shadows of the Valley”, di Janick e Steve, è un pezzo che mi ha sorpreso. Richiama il passato dei Maiden fin dalle sue prime note. Sfido chiunque abbia ascoltato il pezzo a non aver pensato al 1987… E’ una cavalcata condita di cori e assoli, che sono certo piacerà a coloro che hanno amato i Maiden di fine anni Ottanta.

“Tears of a Clown” è il brano dedicato da Adrian e Steve a Robin Williams. Un pezzo che si sviluppa in un modo relativamente insolito per gli Iron Maiden. Un pezzo per molti aspetti sorprendente che ci lascia nelle orecchie una melodia accattivante e un ritornello decisamente interessante.

“The Man of Sorrows” ci ricorda che Dave Murray il suo zampino ce lo mette sempre, questa volta in compagnia si Steve. Si sviluppa piuttosto lentamente e gioca su una asincronia tra batteria e canto che scontenterà sicuramente alcuni fan di vecchia data.

“Empire of the Clouds” ha il sapore di un magnum opus firmato dal solo Bruce Dickinson. Il pezzo più lungo dei Maiden supera di poco i diciotto minuti e richiama atmosfere inedite per i nostri. E’ un brano molto bello, molto intenso. Ci consegna i Maiden inediti alle prese con qualcosa che forse da molto tempo volevano osare, ma che non lo avevano mai fatto. Bruce al pianoforte è il simbolo di quanto questa band possa ancora dare al panorama musicale odierno, che calchi o meno i cliché del passato, prossimo o remoto che lo si voglia chiamare.

Questo è un album che esalterà molti al primo ascolto, ne scontenterà un buon numero di altri. Cosa diremo di The Book Of Souls tra cinque anni è tutto da vedere. Quanto rimarrà nel cuore dei fan, altrettanto. Speriamo in ogni caso che non sia l’ultimo disco della nostra band preferita. Hanno ancora troppo da insegnare a chi mastica metal.