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Trieste 17/07/2018 PDF Stampa E-mail
Giovedì 19 Luglio 2018 09:33 MaZZo   
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Ad un concerto come quello degli Iron Maiden che si è tenuto ieri sera a Trieste, partecipano almeno tre diverse tipologie di persone. La prima tipologia è indicabile in coloro che hanno deciso di non perdere l’occasione di vedere uno dei più grandi live act che la storia del rock abbia regalato. La seconda tipologia è riconoscibile in coloro che hanno colto l’opportunità di poter dire “c’ero anche io”. La terza compagine è costituita da coloro che semplicemente non potevano non esserci, perché provavano la necessità di soddisfare un desiderio fisiologico, profondo e irrefrenabile. I protagonisti di quest’ultimo gruppo non hanno un colore, una religione, un approccio comune, ma conoscono qualcosa che altri non hanno, forse solo per ora, compreso. Ad ogni concerto della Vergine di Ferro si ritrova un clan segreto di loschi figuri, una grande famiglia di Iron Maiden-dipendenti che anima in segreto il vociare della folla e il tumulto del pubblico. E’ singolare che tutto questo sia andato in scena in un contesto come Trieste, la città cardine di una mittel-Europa che avevamo studiato sui libri di scuola e che ora vive il suo più grave momento di crisi. O forse non è un caso. Forse la scatenata, irriverente, non convenzionale marea di Maideniani che ha invaso Trieste può ricordarci che entrare in un concerto degli Iron Maiden significa entrare in un mondo parallelo, dove molto, non tutto, di quanto affligge la realtà quotidiana resta fuori. Entrare ad un concerto degli Iron Maiden significa incontrare decine e decine di persone con cui ci si vede raramente, con cui magari non si ha nemmeno molto in comune, ma che si ha il piacere e la voglia di rivedere. Con centinaia di altre non si riesce a scambiare un abbraccio e una vigorosa pacca sulla spalla, ma si prova la confortante sensazione che anch’esse siano lì, a comporre un mosaico unico. Blood brothers, come dice una delle canzoni che non hanno fatto parte della scaletta di questa sera. Avendo negli occhi e nelle orecchie le magistrali esibizioni di Firenze e Milano, lo show di questa sera non è da meno. Gode invece di uno scenario unico che emoziona la band e la costringe a spremere tutte le sue energie ancora una volta. Lo spettacolo che gli Iron Maiden hanno preparato per questo tour è davvero magnificente. Bruce cerca di fare invidia ad Arturo Brachetti, cambia costume quasi ad ogni pezzo e in ogni brano è presente una nuova scenografia o un effetto scenico particolare. L’apertura è probabilmente l’inizio ideale di ogni concerto degli Iron Maiden, quella combinazione fatale di Churchill’s Speech e Aces High che riuscirebbe a scatenare il più addormentato degli esseri umani. Ad accompagnare la musica c’è la riproduzione di uno Spitfire che rende l’ingresso sul palco della band quantomeno maestoso. A seguire Where Eagles Dare e 2 Minutes to Midnight, per consolidare un ritorno al passato non del tutto scontato a livello sonoro e rinnovato nella scelta dei teloni di sfondo. I primi tre pezzi sono quelli in cui la stampa e le TV possono catturare immagini e emozioni dello show. Per questo, è con The Clansman e The Trooper che la band entra davvero in contatto con il suo pubblico. Pubblico che esplode e ha modo di strabuzzare gli occhi di fronte alla successiva scenografia che riconsegna i Maiden in una cattedrale arredata da Eddie sul vetri e sulle pareti. Revelations e For the Greater Good of God celebrano in pochi minuti la grandezza degli Iron Maiden nel corso di ormai quattro decenni. Così è anche per il mix di brani che segue, da The Wicker Man, che segna l’inizio della vita a sei per la band britannica, a Sign of the Cross, che chiude la doppietta degli estratti dagli album con Blaze Bayley. Un grande uomo alato, Bruce Dickinson che imbraccia un lanciafiamme: è tornata Flight of Icarus. Ed è tornata alla grande. Prima che qualcuno dimentichi che a brani eccezionali, in un concerto degli Iron Maiden, possono seguire canzoni ineludibili nella storia del rock, eccoci a Fear of the Dark, The Number of the Beast e Iron Maiden. Tutti classici, tutti rinnovati nella loro proposizione scenografica. Maschere, lanterne, diavoli e gargoyle, e un grande Eddie nelle vesti dello sciamano di Legacy Of The Beast, il gioco che molti di voi conosceranno. A mostrare come la carta d’identità sia solo un documento fiscale, la band si tuffa nei bis senza soluzione di continuità. Tocca questa volta a The Evil That Men Do, Hallowed Be Thy Name e Run to the Hills chiudere lo show. Uno spettacolo gigantesco, coinvolgente e commovente. Una produzione stellare e una cornice, questa di Trieste, davvero insuperabile. Cari Steve, Dave, Adrian, Bruce, Nicko e Janick, tornate presto a rapirci. Noi ci teniamo pronti. Up The Irons!

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La Redazione di Eddie’s.

Ringraziamo Iron Maiden, Vertigo, Azalea e Phantom Management per l’ospitalità e la cortesia.